Quella di Tod’s non è una storia isolata, ma l’ennesimo capitolo di un copione ormai noto. Negli ultimi anni, le grandi maison del lusso hanno costruito imperi di comunicazione sui valori ESG: sostenibilità, attenzione alle persone, etica del lavoro, rispetto della filiera, bilanci di sostenibilità patinati. Campagne pubblicitarie che sfiorano con grande disinvoltura una comunicazione che tratta di “capitalismo umanistico“, “umana sostenibilità“, affidata ad agenzie alla milanese, sempre meno creative e sempre più omologate al desiderio del cliente, non solo padrone, ma in molti casi anche creativo, storyteller, sceneggiatore di se stesso.
La pubblicità del Parmigiano Reggiano di qualche anno fa, con il povero Renatino orgoglioso di lavorare 365 giorni all’anno, non deve aver insegnato niente a nessuno.
E poi certificazioni ambientali e sociali esibite come medaglie al valore, che diventano patacche quando i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro entrano negli opifici della filiera e la realtà che emerge è ben diversa: Dior, Armani Operations, Alviero Martini, Valentino Bags Lab, Loro Piana. Tutti giganti del lusso, tutti finiti sotto la lente della Procura di Milano, tutti con la stessa dinamica: subappalti su subappalti, opifici-dormitorio gestiti da imprenditori cinesi, lavoratori pagati una frazione del dovuto, orari massacranti, sistemi di sicurezza rimossi per “aumentare la produttività”.
Il caso più emblematico di questa dissonanza cognitiva è quello di Brunello Cucinelli (che nulla ha a che fare con le inchieste del PM Storari), l’imprenditore-filosofo che ha fatto della retorica del “capitalismo umanistico” il proprio marchio distintivo. Discorsi sulla dignità del lavoro, citazioni di Kant, conferenze al G20 sulla sostenibilità morale. Poi, a settembre 2025, arrivano le accuse di Morpheus Research e Pertento Partners: nonostante le dichiarazioni pubbliche, Cucinelli continuerebbe a vendere in Russia prodotti oltre la soglia consentita dalle sanzioni europee, attraverso una complessa rete di triangolazioni commerciali. Negozi teoricamente chiusi ma operativi, merce prodotta nel 2024 e 2025 (ben dopo le sanzioni) venduta a Mosca per migliaia di euro, sconti aggressivi per smaltire scorte gonfie.
Quando i valori proclamati si scontrano con i numeri reali, emerge la verità: la sostenibilità è diventata uno strumento di marketing, un lucido strato di vernice verde sopra pratiche che restano immutate. Non importa quanti report ESG si producano se, alla fine, il modello di business si basa sullo sfruttamento sistematico di chi sta in fondo alla catena produttiva.