L’elemento strutturale più significativo nella vulnerabilità di Campagnolo è stato la sua scelta di concentrarsi in maniera quasi esclusiva su componenti top di gamma. Nonostante l’azienda sia riconosciuta per l’eccellenza dei materiali e il fascino estetico indiscusso dei suoi componenti, questo focus sulla forma ha spesso comportato un compromesso a sfavore della performance funzionale pura, a giudicare dalle analisi dei commenti online di ciclisti e cronisti di settore.
Nelle parole di clienti e valutatori, questa tendenza riflette una cultura aziendale permeata da ciò che è stato definito “estremo conservatorismo”, “miopia” e “mancanza di immaginazione”. Mentre i concorrenti – il duopolio composto da Shimano e SRAM – abbracciavano l’efficienza e la standardizzazione, Campagnolo manteneva un approccio quasi artigianale; un modello che, sebbene esaltasse la qualità percepita, si rivelava inadatto alla velocità e ai volumi richiesti dal mercato globale contemporaneo.
Questa strategia di dipendenza dal lusso ha trascurato o ignorato i segmenti di mercato più ampi e a volume (come nel caso dei componenti wireless, del gravel e dell’e-bike), dove si genera la maggior parte del fatturato e dove si costruisce la penetrazione del marchio. La conseguenza è la distruzione della fondamentale “piramide di prodotto”: in un mercato di componenti ciclistici di successo, i prodotti base finanziano i prodotti di fascia media, che a loro volta sostengono il flusso di cassa necessario per gli investimenti nella ricerca per il top di gamma. Campagnolo ha decostruito la base di questa piramide, auto-isolando i suoi costosi gruppi di componenti di lusso e rendendoli finanziariamente indifesi contro qualsiasi flessione della spesa voluttuaria. Come quella generata dal recente shock del mercato ciclistico d’alto bordo, appunto.
Proprio per questa ragione, l’annuncio dei 120 esuberi assume toni paradossali. La massiccia perdita occupazionale non è solo una cifra contabile, ma un evento socioeconomico di rilievo per il tessuto produttivo della provincia. L’azienda, con 300 dipendenti, opera su una scala comparabile a quella di una boutique industriale se confrontata con i giganti globali del settore. Un taglio del 40% non configura un semplice snellimento dei processi, ma un rischio esistenziale per la conservazione del know-how produttivo italiano di alta qualità – per tacere della sostenibilità del modello di business incentrato sull’alto costo e il basso volume.
È chiaro che l’azienda mira a tagliare i costi in tutta fretta per tamponare le perdite di fatturato; tuttavia, se Campagnolo punta davvero a un rilancio, deve preservare il suo capitale umano ad alta specializzazione. Il ricorso a strumenti come la CIGS, caldeggiato dai sindacati, rappresenta l’unico meccanismo per conservare le competenze operative e la capacità produttiva di alta ingegneria in attesa che il nuovo piano industriale generi i suoi effetti.
Per un’azienda che ha puntato a oltranza sulla qualità artigianale dei suoi prodotti, licenziare lavoratori qualificati significa provare a cancellare con un colpo di spugna degli errori di valutazione che si sono protratti per anni – in questo caso, più di dieci. Di fronte a un quadro simile, dare la colpa ai cicli e alle bolle del mercato non è del tutto onesto, ed è ancora più insopportabile a pensare che, nel Paese delle crisi e delle emergenze, almeno l’artigianato non prendeva scorciatoie quando la strada si metteva in salita.
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Photo credits: primavicenza.it